L’epidemia (racconto)

Quello che segue è un racconto di Mario Badino. Dice l’autore: «Non è un racconto nuovo, non so se è un bel racconto, ma ci sono affezionato e non ho saputo trattenermi dal riproporlo».

La diffusione non commerciale del testo è libera citando il nome dell’autore, secondo le condizioni previste dalla licenza Creative Commons 3.0.

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L’epidemia

Il vecchio Pasquale fu la prima vittima.

Lo trovarono svenuto in pieno centro, mentre cercava di ripararsi dal sole del dopopranzo sotto una tettoia. Lo caricarono sopra un carretto e lo portarono all’Ospedale Policlinico, dal quale uscì dopo un giorno appena, poiché le sue condizioni erano nella norma e la responsabilità dell’accaduto, secondo la dichiarazione del primario, dottor Ludovico Sezze, andava addebitata «all’estrema calura di questi giorni, che sembra che il sole sia disceso nelle strade e a quell’età non conviene passeggiare da soli».

Non pioveva da parecchie settimane e il caldo era stato causa di numerosi incendi che – si diceva – scoppiavano spontanei nei campi. Anche la cascina di Pasquale era andata in fumo, ma il vecchio sosteneva che il sole non c’entrava niente e che la colpa andava addebitata all’invidia di qualche nemico.

Ora vagabondava di locale in locale e si proclamava l’eletto: diceva di essere superiore agli altri uomini, litigava con tutti e non mangiava quasi più, tanto che s’era ridotto a uno spaventapasseri avvizzito. Intanto, la vita cittadina continuava come sempre: nelle botteghe ferveva il lavoro, la Rocca forniva un rifugio malinconico ai poeti e agli innamorati e il mare faceva avanti e indietro sulle sue onde eterne, solcate dalle barche dei pescatori. Nei vicoli, però, i vecchi edifici guidavano il vento per cento corridoi intonacati, raccogliendo le confidenze dell’antico chiacchierone e dispensando agli uomini incertezze e timori. E fu così che nessuno si stupì realmente quando, una settimana dopo il mutamento di Pasquale, anche Tonino, il gestore del Caffè di Santa Spé, principiò a dare i numeri.

«Sono il migliore», ripeteva senza sosta; e rifiutava di servire i clienti malvestiti.

Una notte scoppiò una rissa perché gli avventori che si trovavano nel locale avevano deciso di stabilire chi fosse il più in gamba fra loro.

Dapprima avevano provato con una gara d’intelligenza, quindi erano passati alle mani. Finirono al pronto soccorso in quattro; Tonino, che si era rotto il naso, rifiutò di seguirli: chiuse una mano intorno alla protuberanza dolorante e se la drizzò da solo, perché non si fidava dei dottori, presuntuosi e arroganti. Da quel giorno non poté più dormire senza russare.

Le autorità iniziarono a interessarsi a quella che i giornali già definivano un’epidemia di superbia soltanto a seguito di un’ordinanza piuttosto stravagante emanata dal sindaco.

Tutti i cittadini, ingiungeva il decreto, dovevano venerarlo come un dio, recandogli in tributo un agnello da latte ogni due settimane. In mezzo alla piazza principale, sarebbe stato eretto un altare di pietra dove consumare i sacrifici e accendere un fuoco sacro, da alimentare continuamente per invocare la protezione del destino. Allora il Consiglio comunale intese la gravità della situazione e chiese aiuto alla scienza.

Gli ingegneri del Politecnico approntarono alcune Vasche dell’Umiltà, che furono disposte nei luoghi strategici. Quando qualcuno era sorpreso in atteggiamento sospetto, veniva afferrato e gettato di peso nelle enormi piscine. Usciva dall’acqua completamente redento: ora era umile, molto umile, era anzi il più umile di tutti e andava gridando che chi non era d’accordo con lui andava soppresso.

Così passò il tempo, senza che si trovasse una vera soluzione.

Ogni contatto tra la Città e l’esterno fu interrotto, per evitare la diffusione del morbo, e anche nutrirsi diventò difficile.

Un manipolo di soldati, giunti appositamente dalla Capitale, controllava gli accessi, tenendosi a distanza di sicurezza. L’ordine era di far fuoco per respingere qualunque sortita. Privi della possibilità di comunicare con le campagne, gli assediati incominciarono a mancare di cibo. Uomini e donne si trascinavano per le strade, ognuno per conto proprio, dando la caccia ai topi e ai piccioni, troppo superbi per collaborare. Incominciò a circolare la voce che nel Palazzo comunale fosse nascosto il grano. Ma i cittadini si ostacolavano fra loro, ognuno cercando di portare un inutile assalto personale e tutti spegnendo il loro slancio contro i portoni sprangati del Municipio.

Infine, quando ormai si era persa ogni speranza, giunse l’autunno, e con l’autunno le piogge.

La situazione tornò normale e la pestilenza finì com’era cominciata.

«Il repentino abbassamento della temperatura ha prodotto sulla Città lo stesso effetto della borsa del ghiaccio sul capo del febbricitante», ebbe a dire in quei giorni la radio. Il cordone sanitario fu sciolto e frotte di studiosi giunsero da tutto il Paese per cercare di capire che cos’era successo. La colpa fu attribuita, secondo la spiegazione ufficiale, a uno strano batterio della famiglia degli staffilo-tocchi, prima di allora del tutto sconosciuto. Nei giorni precedenti il diffondersi del morbo, una nave proveniente dal Mar Nero, carica di grano, aveva fatto approdo nel Porto cittadino. Alcuni testimoni avevano riferito che, nelle taverne lungo i moli, i marinai si erano comportati in maniera più rissosa e insolente del solito. Finalmente era stata appurata la causa della peste.

Come atto di ritorsione, la Città di Camelia sospese ogni importazione di grano dal Mar Nero per i successivi quindici anni.

>>> La foto mostra uno scorcio della città di Mesagne (Brindisi). Mi sembrava in tono con la mia immagine mentale della città di Camelia.

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In cerca di fortuna (racconto per bambini/e 3-4 anni)

Questo racconto è stato scritto da Sarah Marra, di 8 anni, ed è immaginato per bambini/e di età compresa tra i 3 e i 4 anni. La diffusione non commerciale è libera citando il nome dell’autrice.

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In cerca di fortuna

C’era una volta una pecora che viveva in un prato e si chiamava Smeralda. Un giorno, stufa di mangiare sempre la stessa erba, chiese dove potesse andare alla chioccia Margherita. La chioccia Margherita, anch’essa stufa di mangiare sempre i soliti chicchi di grano, propose una scommessa:

«Potresti provare ad andare sulla luna. Secondo me non ci riuscirai, ma se per caso ci riesci ti darò tutti i miei chicchi di grano. Se invece ho ragione io, mi darai tu i tuoi ciuffi d’erba più raffinati».

Così si strinsero la zampa. La pecora era molto sicura di sé: se non fosse tornata dalla luna, come avrebbe fatto a dare i ciuffi d’erba alla chioccia? Se invece fosse tornata avrebbe vinto i chicchi di grano. La chioccia però disse:

«I premi però li tengo io, così non potrai barare!».

La pecora non riuscì a mantenere la calma e annullò immediatamente la scommessa. Ma Margherita, che aveva tanto ingegno, propose una via d’uscita: avrebbero fatto una gustosa insalata con i più raffinati fili d’erba e i più dorati chicchi di grano.

Questo racconto ci insegna che la fortuna è trovare un amico con cui banchettare e che per questo non bisogna andare fino alla luna, perché la fortuna… è a portata di pollaio!

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La cipolla Tropea (racconto per bambini/e 2-3 anni)

 

Questo racconto, scritto da Mario Badino, è immaginato per bambini/e di età compresa tra i 2 e i 3 anni. La diffusione non commerciale è libera citando il nome dell’autore.

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La cipolla Tropea 

C’era una volta una cipolla bianca bianca, che si chiamava Tropea. Più di ogni cosa, Tropea voleva imparare ad andare in barca. Un giorno si recò al porto e salì su una piccola imbarcazione.

«Parti!», gridò Tropea. Ma la barca non voleva saperne.
«Non si può muovere», suggerì un pesciolino che stava nuotando lì vicino. «Devi sciogliere gli ormeggi».
«E cosa sono?», domandò la cipolla Tropea.
«Sono le corde che tengono la barca legata alla riva».

Allora, con le sue manine, la cipolla Tropea incominciò a sciogliere i grossi nodi degli ormeggi e, quando ebbe finito, la barca iniziò a muoversi.

Tropea voleva andare DI QUA; la barca, invece, si diresse DI LÀ.

DALL’ALTRA PARTE! DEVI ANDARE DALL’ALTRA PARTE!

urlava Tropea, ma inutilmente.

«Usa il timone!», gridò il pesciolino.
«E che cos’è?», domandò la cipolla.
«Ma non sai proprio niente! È quel pezzo di legno che entra nell’acqua e serve a dirigere la barca!»

Allora, con le sue manine, Tropea prese il timone e cominciò a manovrare. La barca smise di andare DI LÀ e cominciò a muoversi DI QUA.

Finalmente Tropea arrivò in vista dell’isoletta sulla quale voleva fermarsi a prendere il sole. A quel punto si accorse che non sapeva come fermare la barca.

«Butta l’ancora!», disse il pesciolino. «Poi tuffati e fai gli ultimi metri a nuoto!»

Tropea, inutile dirlo, non sapeva che cosa fosse l’ancora.

«È quel pezzo di ferro pesante legato a una corda… Serve per fermare la barca!»

Con le sue manine, la cipolla Tropea sollevò la grossa ancora e la buttò in mare, ma restò impigliata alla corda e finì in acqua.

AIUTO! AFFOGO!

gridò la cipolla, che non sapeva nuotare. Allora il pesciolino la soccorse e se la mise in groppa. Poi la portò fino all’isola.

Una volta sulla spiaggia, Tropea si mise a prendere il sole. Fino a quel giorno tutte le cipolle erano state bianche. Ma Tropea non aveva messo la cremina e così diventò rossa rossa.

Si stava facendo tardi e il sole doveva tramontare. Allora il pesciolino riaccompagnò Tropea sulla barca. Ma il mare non la lasciava tornare indietro: le onde la spingevano sempre dalla stessa parte.

«Che cosa devo fare?», chiese Tropea.
«Li vedi quei bastoni lunghi lunghi?», domandò il pesciolino. «Si chiamano remi e servono a remare!».

Allora, con le sue manine, la cipolla Tropea alzò i grossi remi.

O ISSA! O ISSA!

remava Tropea.

Finalmente la barca ritornò al porto e, anche se

SBAM!

andò a sbattere contro la riva, almeno la cipolla Tropea era arrivata. Scese dalla barca, tornò a casa e andò subito a fare tanta nanna, perché quel giorno si era stancata moltissimo.

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Le ricette di Elsa

Una vignetta satirica di Ronnie Bonomelli (cliccaci sopra per vederla ingrandita).

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Come fu inventato il mare (racconto 2-3 anni)

Questo racconto, scritto da Mario Badino, è immaginato per bambini/e di età compresa tra i 2 e i 3 anni. La diffusione non commerciale è libera citando il nome dell’autore.

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COME FU INVENTATO IL MARE

Una volta il mare non aveva l’acqua. Era una distesa di terra asciutta e dura e i pesciolini nuotavano in cerchio dentro piccole vasche. Già allora, tutte le estati, migliaia di persone andavano in spiaggia, piantavano l’ombrellone, si sistemavano sulla sdraio o sull’asciugamano e prendevano il sole. Quando il caldo si faceva intenso, correvano a tuffarsi, ma il mare era senz’acqua e

BONK!

picchiavano la testa contro il terreno.

Un giorno, un bimbo così bravo, ma così bravo che si chiamava Monello Birichino, decise che non si poteva continuare in quel modo. Batti la testa oggi, battila domani, si era convinto che nel mare ci voleva l’acqua.

Allora corse a guardare nel borsone, trovò la bottiglietta che aveva con sé e si affrettò a rovesciarla in terra. L’acqua scese giù veloce:

VLUUSH!

Monello Birichino era felicissimo:

«Il mare!», gridò. «Ho fatto il mare!»

E QUELLO SAREBBE IL MARE, MONELLO BIRICHINO? MA È PICCOLO!

gridarono tutto attorno. E avevano ragione: il mare era così piccolo che non sarebbe riuscito a bagnarsi un piede.

Allora Monello Birichino andò al chiosco e comprò un’altra bottiglietta, che rovesciò dove aveva versato la prima.

«Adesso è più grande!», esclamò contento. Ma tutto intorno:

MA QUELLO NON È IL MARE, MONELLO BIRICHINO! È ANCORA TROPPO PICCOLO!

Allora comprò una terza bottiglietta, che andò ad aggiungersi alle altre.

NON BASTA, MONELLO BIRICHINO, ANCORA NON BASTA!

A quel punto, il bimbo ebbe un’idea. Acquistò un megafono da un venditore e cominciò a girare per la spiaggia, gridando:

«Forza, avanti! Versate tutti le vostre bottiglie nel mare, così lo riempiremo d’acqua!»

Allora le signore e i signori, le bambine e i bambini, aiutarono Monello Birichino a fare il mare e rovesciarono tanta e tanta acqua; qualcuno aggiunse persino un bicchiere di aranciata. Anche le nuvolette vollero dare una mano, così si misero a fare la pioggia

CIAAAAAFF!

che venne giù e giù, fino a che il mare fu colmo. Ora ci si poteva tuffare senza sbattere la testa, i pesci sapevano dove nuotare e si poteva anche andare in barca.

Monello Birichino, però, non poteva andare tutti i giorni ad aggiungere acqua, perché aveva altre cose da fare. Così propose al fiume, che passava di lì, di farsi un bel tuffo anche lui, e da quel giorno furono i fiumi a portare l’acqua al mare.

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Cappuccetto Rosso, Cappuccetto Verde e il compleanno della nonna (racconto per bambini/e 2-3 anni)

Questo racconto, scritto da Emma e Mario Badino, è immaginato per bambini/e di età compresa tra i 2 e i 3 anni. La diffusione non commerciale è libera citando il nome dell’autore.

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Cappuccetto Rosso, Cappuccetto Verde e il compleanno della nonna

C’era una volta una bambina che si chiamava Cappuccetto Rosso, perché portava sempre una mantellina con un cappuccio rosso. Un giorno la mamma le disse:

«Cappuccetto Rosso, vai dalla nonna a portarle questo cestino con tante cose da mangiare».

La bimba rispose: «No, mamma, non vado, ci sono i cartoni».

Allora la mamma disse: «Ma oggi è il compleanno della nonna, i cartoni li vedrai da lei. E fai attenzione quando attraversi il bosco, perché c’è Cappuccetto Verde e tu sai quanto è golosa!».

Così la bimba partì, ma ben presto si dimenticò di fare attenzione. Quella monella di Cappuccetto Verde, invece, l’aveva vista avanzare con un cestino e ora l’aspettava nascosta con un bastone in mano Quando la bambina passò, le mise il bastone tra le gambe e la fece inciampare. Poi raccolse il cestino e scappò. Quando si fu allontanata, si sedette sopra un sasso e cominciò a mangiare quel che c’era nel cestino.

Ma aveva appena messo in bocca la prima caramella che arrivò la nonna, tutta arrabbiata:

«Dammi il mio pranzo di compleanno, Cappuccetto Verde!», gridò e la bambina si spaventò e scappò via, lasciando in terra il cestino.

Così la nonna e Cappuccetto Rosso poterono mangiare insieme e, dopo aver festeggiato con un girotondo, fecero un bel pic nic. La nonna spense le candeline e poi andarono a dormire, perché si erano stancate tanto. Quando si svegliarono guardarono i cartoni, finché non arrivò la mamma a prendere Cappuccetto Rosso.

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Riformismi italiani

Tre vignette satiriche di Ronnie Bonomelli (cliccaci sopra per vederle ingrandite).

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Articolo 18 passepartout
Monti passeggia
Formigoni Terminator

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Corpi – quattro tele di Lara Cavagnino

Aderisce al progetto l’artista grafica Lara Cavagnino, che dichiarato, nel più perfetto spirito della libertà di condivisione che l’unica © che vede bene accanto al suo nome è… l’iniziale del cognome!

Quelle pubblicate in questo post sono quattro tele che hanno per soggetto il corpo umano (clicca sopra le immagini per ingrandirle).

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Donna
L’appeso
Madre del mondo
Muro

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Un coniglio che non sapeva tornare dalla sua famiglia

Qualcuno si chiederà che razza di spazio sia questo, vista l’eterogeneità del materiale che vi è pubblicato. Entro breve sarà pronto un manifesto di massima da sottoporre al giudizio delle persone interessate ad avviare un progetto di condivisione gratuita di materiale artistico autoprodotto.

Ciò premesso, mi prendo la libertà di pubblicare un testo particolare, che non è solo, come altri pubblicati nei giorni scorsi, un racconto destinato ai bambinitra i 2 e i 3 anni, bensì un racconto scritto (bè, diciamo dettato) da una bambina che compirà 3 anni il prossimo aprile, mia figlia Emma.

Spero di non far male a condividerlo, spero che non sembri una specie di esperimento; è che sono orgoglioso – e in più lei sembra d’accordo. Aggiungo che il mio intervento sul testo è stato davvero minimo; in particolare le ho fatto qualche domanda per aiutarla a portare a termine la storia.

Un coniglio che non sapeva tornare dalla sua famiglia
di Emma Badino.

C’era una volta un coniglio che si era perso e non sapeva tornare dalla sua famiglia di conigli cadenti. Ma si erano fatti male! Poi la mamma andò da quel coniglio che si era perso.

“Coniglio perché ti sei perso saltando?”
“Boing boing”, rispose il coniglio.

Poi il coniglio, saltando saltando, fece una passeggiata e si perse di nuovo e chiamò la mamma ma non ci aveva il telefono. E chiamò le formichine, ma non ci aveva il telefono. Allora continuò la sua passeggiata e trovò un telefono. e chiamò le formiche.

“Mi prestate un kiwi che devo magiare e la mamma non ha più la pappa? Mi prestate un’aranciata, che la mamma non ha più la pappa?”
Le formiche dissero: “Sì!”.

Il coniglio voleva portare il kiwi e l’aranciata alla mamma, ma non sapeva la strada di casa. Allora usò il telefono per chiamare la mamma. La mamma andò a prenderlo.

Ma poi il coniglio fece un’altra passeggiata e si perse di nuovo…

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Il lombrico Edmondo e il pappagallo Giovannino (racconto per bambini/e 2-3 anni)

Questo racconto, scritto da Mario Badino, è immaginato per bambini/e di età compresa tra i 2 e i 3 anni. La diffusione non commerciale è libera citando il nome dell’autore.

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Il lombrico Edmondo e il pappagallo Giovannino

C’era una volta un lombrico, che si chiamava Edmondo. Edmondo mangiava, dormiva, beveva e nel resto del tempo si dedicava a tre attività principali: faceva le bolle di sapone, imitava il verso degli altri animali e cantava.

Un giorno, Edmondo era nel prato che cantava a squarciagola:

BÉ BÉ BÉ
BÉ BÉ BÉ!

Passò di lì il pappagallo Giovannino, che era un appassionato di canto, e disse al lombrichetto Edmondo:

«Lombrichetto Edmondo, per favore, mi insegni questa bella canzone?»
«Ma certo!», rispose l’altro, e incominciò a cantare:

BÉ BÉ BÉ
BÉ BÉ BÉ!

Allora il pappagallo Giovannino cantò insieme a lui:

BÉ BÉ BÉ
BÉ BÉ BÉ!

Passò di là il grillo della televisione e iniziò a filmare i due amici con la telecamera. Alla sera, il lombrico Edmondo e il pappagallo Giovannino erano in televisione che cantavano:

BÉ BÉ BÉ
BÉ BÉ BÉ!

Tutti i bambini che stavano guardando la tivù incominciarono a dire con loro:

BÉ BÉ BÉ
BÉ BÉ BÉ!

Allora anche le mamme e i papà iniziarono a cantare e, in poco tempo, in tutta la città e in tutto il mondo si sentiva la stessa canzone:

BÉ BÉ BÉ
BÉ BÉ BÉ!

Questa storia ci insegna che ognuno di noi è importante e, anche se è piccolino, può cambiare il mondo.

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